L'editoriale del direttore: cellulari e pc in tempo di crisi, ma quando riscaldava il camino e c'era povertà?

Le riflessioni che portano un giornalista a scrivere ed a trovare uno spunto per un editoriale nascono spesso per caso dalla vita di ogni giorno; perfino dalla tristezza e riescono anche meglio se derivano da moti sentimentali del proprio animo. Accade in amore, in senso lato, sentimento che suscita dolcezze e passioni, tormenti e gioie; accade nella quotidianità e quando si riflette su su stessi, il proprio passato e le persone che ci sono care. Accade nelle ansie per il lavoro, nei gesti abituali e personali, più importanti per ciascuno di noi persino dei grandi eventi che segnano la vita del pianeta. Domenica scorsa, come faccio assai spesso da sempre, sono andato nella cappella di famiglia in Piemonte per onorare i miei morti, chi mi ha preceduto e generato. Gesto che compio come tanti altri e che oggi sento ancora di più per visitare mamma. Davanti a quei marmi che sono freddi ma danno tanto calore che di più non si può, ho osservato i volti dei miei cari estinti in foto antiche che li ritraggono nei vestiti dell'epoca in cui hanno vissuto, compiendo quelle azioni indispensabili al sopravvivere che facciamo anche noi, ora. Sono trascorsi decenni, al massimo quasi un secolo da quelle date di bronzo poste sulle lapidi. Immobili, fissate nell'eternità ma che, quasi per contrasto, mi hanno fatto riflettere su come si è invece “rovesciato” il mondo. Loro vivevano davanti al camino, con i lumi a petrolio e comunicavano con manoscritti (di alcuni dei quali ho ancora possesso e mi diverto a leggere). Ed ho riflettuto come sia totalmente diversa ed assai più comoda la nostra vita sul divani, con i cellulari, le mail, le auto, la luce che si accende al nostro passaggio. Un altro mondo. Se immaginato all'epoca dei miei cari che non ci sono più, autentica fantascienza. I loro volti sorridono, i nostri sono ingrugniti dalla crisi, dallo stress, dall'ansia di agende stracolme di una corsa frenetica. Ma quale crisi? Ho pensato per un attimo. Noi, con la scarsità di denaro che effettivamente abbiamo in questo momento, viviamo con una qualità di vita ben superiore a quella di chi lavava i panni al fiume, si faceva luce con le candele, cuoceva il cibo al caminetto che io, invece, accendo come in un gioco e con un'allegria da bambino davanti ai regali di Natale. Riflessioni, dicevo, pensieri tra me e me stesso, giornalista, operatore dell'informazione che racconta, da queste e da altre pagine, di momenti drammatici, di suicidi per lavoro, di tragedie familiari perché le coppie diventano al singolare. Ho chiuso il cancello della cappella salutando chi ho amato con tutto il cuore in qualche caso non avendo neppure conosciuto. Ma quella è la mia famiglia, me stesso, la mia storia, la genia, chi mi ha generato ed amato. Ecco me ne sono andato con la lacrime agli occhi; questione personale certo, ma anche, ancora, riflessione. Crisi? Vita vissuta e come? Con il telefonino di ultima generazione, il navigatore o il viaggio vacanziero a migliaia di chilometri da casa? Me ne sono andato in confusione mentale ed in meditazione che non ha trovato risposta né logica conclusione. Il cimitero della mia valle è in collina e l'ho lasciato guardando i monti che la circondano e dentro i quali mi piace spesso volare (con adeguato aereo) più basso delle loro cime in uno spettacolo della natura per me, e non solo, unico. Guardando i torrenti, i campi verdi. Flora persino un po' selvaggia ma la stessa che ammiravano gli occhi dei miei cari che ora riposano in pace.

Dino Frambati